Interdizione

Nel diritto civile italiano il termine interdetto è riferito a un soggetto maggiorenne nei confronti del quale un tribunale ordinario, anche prima della maggiore età, abbia emesso provvedimento di interdizione.

Interdizione giudiziale

L’interdizione è disciplinata dall’art. 414 e seguenti del codice civile che recita: «Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione». Il provvedimento stesso è subordinato alla verifica di un’infermità di mente abituale che comporti un’incapacità di provvedere ai propri interessi. Abituale deve ritenersi pure lo stato di incapacità mentale inframmezzato da momenti di piena capacità di agire c.d. lucidi intervalli. A seguito dell’interdizione l’incapace non può compiere alcun atto giuridico, né di ordinaria, né di straordinaria amministrazione. La sua posizione è equiparata a quella del minore e, al pari di quest’ultimo, è nominato, dal Giudice tutelare, un soggetto che provveda a rappresentare, e quindi sostituire, l’interdetto nella cura dei suoi interessi: il tutore (art. 424, co.1).
Ne consegue che tutti gli atti compiuti dopo la sentenza sono annullabili (art. 427]), mentre quelli antecedenti la sentenza sono annullabili secondo le condizioni stabilite per gli atti dell’incapace naturale (art. 428]).
Con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004[2] è stato novellato il titolo XII del libro I del c.c. introducendo al capo I l’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Interdizione legale

Diversa è la così detta interdizione legale, che prescinde dallo stato di infermità e si differenzia per finalità. Si tratta di una pena accessoria per chi sia stato condannato all’ergastolo o alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. Si tratta, in questo caso, di legale incapacità di agire che la legge ricollega direttamente alla condanna penale insorgendo automaticamente, senza necessità di instaurare un giudizio; e di uno stato di incapacità stabilito non a protezione dell’interdetto, come nel caso dell’infermo di mente, ma punitivo, per una più intensa punizione del condannato (art. 32 c.p.).
Va precisato che l’interdizione legale limita l’incapacità del soggetto ai soli atti che riguardano “la disponibilità e l’amministrazione dei beni” (art. 32 comma IV c.p.) e poiché in questo caso nel soggetto non difetta la capacità di intendere e di volere, esso può contrarre matrimonio, fare validamente testamento, riconoscere un figlio (pur se con la “sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti”).

Adozione

DEFINIZIONE

L’adozione è un istituto giuridico che permette a un soggetto detto adottante di trattare ufficialmente un altro soggetto detto adottato come figlio, dandogli il cognome.

Legislazione italiana attuale

La Legge 4 maggio 1983 n. 184, art. 27 dispone che «l’adozione fa assumere, al minore adottato, lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali porta anche il cognome».
La stessa legge prevede la possibilità di adottare un minore sul territorio nazionale (adozione nazionale) o in uno stato estero (adozione internazionale) aderente alla Convenzione dell’Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, oppure in un paese col quale l’Italia abbia stabilito un patto bilaterale in materia di adozione. Gli aspiranti possono dare disponibilità sia per l’adozione nazionale sia per quella internazionale per un paese straniero specifico. Generalmente, al verificarsi di un abbinamento coppia-minore in una delle due distinte procedure (nazionale e internazionale) viene sospesa l’altra, ma in alcuni casi il Tribunale per i minorenni di competenza potrebbe anche permettere alla coppia di concludere l’adozione con entrambe le procedure, qualora vengano proposti e accettati dalla coppia due distinti abbinamenti.

Requisiti degli adottanti

La Legge 4 maggio 1983, n.184 regolamenta i requisiti sia per l’adozione nazionale sia per quella internazionale. Nel caso di adozione internazionale lo stato estero potrebbe porre criteri restrittivi rispetto alla legge italiana.
I requisiti fondamentali stabiliti dalla legge italiana sono i seguenti:
Gli adottanti devono essere uniti in matrimonio da almeno 3 anni, non deve sussistere separazione personale neppure di fatto e devono essere idonei a educare e istruire, e in grado di mantenere i minori che intendano adottare. Il periodo dei 3 anni può essere raggiunto computando anche un eventuale periodo di convivenza pre-matrimoniale more uxorio.
La differenza di età tra gli adottanti e l’adottato deve essere compresa dai 18 ai 45 anni. Uno dei due coniugi può avere una differenza superiore ai 45 anni a patto che sia comunque inferiore ai 55. Inoltre potrebbe essere derogato tale limite a patto che i coniugi adottino due o più fratelli assieme o se hanno un altro figlio minorenne.
Gli adottanti devono essere idonei a educare e istruire, e in grado di mantenere i minori che intendono adottare. Questo punto viene verificato dal Tribunale per i minorenni di competenza tramite i servizi socio-assistenziali degli Enti locali.

Procedura per intraprendere un’adozione

Le coppie italiane che decidono di adottare, devono seguire una procedura di adozione particolarmente complessa, volta a garantire l’interesse del minore a vivere in una famiglia adeguata alle sue caratteristiche e necessità.
L’interesse dei coniugi, quello di costituire una famiglia, è considerato secondario rispetto all’interesse del minore.
La procedura per l’adozione nazionale e quella per l’adozione internazionale, differiscono essenzialmente perché nella seconda attore preponderante è l’autorità del paese straniero del minore, rispetto al quale operano gli Enti Autorizzati, che svolgono una doppia funzione; fornitore di servizi per la coppia italiana che intende adottare, garante dell’applicazione delle disposizioni dell’autorità estera in Italia.

Dichiarazione di adottabilità del minore

Il minore è dichiarato adottabile dal Tribunale per i Minorenni, quando è in stato di abbandono, privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi (nonni, zii, fratelli maggiori) a meno che la privazione sia temporanea e dovuta ad impedimenti di forza maggiore. Il minore che è stato affidato ad una comunità di accoglienza o in affidamento familiare, può essere dichiarato adottabile nel caso in cui la famiglia di origine non mantenga stretti contatti con il bambino e un valido rapporto affettivo ed educativo.

Adozioni illegali

Per adozioni illegali s’intendono alcuni fenomeni criminali legati al commercio dei bambini.
Nel settembre del 2007, in un’inchiesta del settimanale L’espresso, è stata segnalata l’esistenza di un racket in Nepal dove, secondo il settimanale, molti orfanotrofi privati a fini di lucro toglierebbero i bambini ai genitori naturali con l’inganno per farli dichiarare adottabili. Già dall’11 giugno 2007, la Commissione per le Adozioni Internazionali italiana aveva annunciato il blocco delle adozioni dal Nepal per consentire la modifica della normativa in modo da renderla più trasparente, arginare il fenomeno dell’illegalità e renderla così conforme ai principi della Convenzione dell’Aja.

I muscoli delle emozioni

muscoli

1) Piramidale (arriccia l’attaccatura del naso): perplessità.
2) Frontale (corruga la fronte): impressionabilità, emozione.
3) Frontale laterale (eleva sopracciglia): sorpresa, curiosità.
4) Sopracciliare (corruga la fronte tra le sopracciglia): concentrazione.
5) Sopracciliare verticale (arriccia l’attaccatura del naso): perseveranza.
6) Elevatore della palpebra: rilassato indica distensione.
7) Orbitale (abbassa il sopracciglio): forte attenzione.
8) Presettale (gonfia la palpebra): stanchezza.
9) Orbicolare (curva il sopracciglio): brio, contentezza.
10) Orbicolare palpebrale (avvicina le palpebre): sguardo penetrante.
11) Traverso del naso (lo arriccia): nervosismo
12) Elevatore superficiale del naso: come il numero 11.
13) Dilatatore narici: desiderio sensuale.
14) Mirtiforme (restringe le narici): opposizione.
15) Elevatore profondo (scopre i denti canini): desiderio di imporsi.
16) Piccolo zigomatico (solleva gli angoli della bocca): sofferenza.
17) Grande zigomatico (fa sorridere): piacere.
18) Buccinatorio (sorriso arcuando il labbro inferiore): piacere sensuale.
19) Risorio (arretra l’angolo della bocca): soddisfazione.
20) Orbicolare esterno (curva la bocca): avidità.
21) Orbicolare interno (stringe le labbra): chiusura.
22) Canino (rigonfia il labbro inferiore): autocompiacimento.
23) Triangolare (abbassa le labbra): inclinazione a temere il peggio.
24) Quadrato del labbro (abbassa il labbro inferiore): indecisione.
25) Quadrato del mento (abbassa il mento): forza di volontà.
26) Pellicciaio (pieghe nel collo): intenzione di agire.
27) Auricolare (muove il padiglione): cambiamenti emotivi.

Donazione di midollo osseo

Perché donare il Midollo Osseo?
Alcune gravi malattie come la LEUCEMIA o l’ANEMIA APLASTICA,possono essere guarite con il trapianto di midollo osseo, che in molti casi rappresenta l’unica speranza di vita Ogni anno in Italia ci sono milioni di persone che ha bisogno di questo tipo di trapianto, purtroppo però solo in un terzo dei casi il donatore compatibile è un membro della famiglia, invece tra i non consanguinei è 1 su 100.

Chi può diventare donatore di midollo osseo?
Qualunque individuo di età compresa tra i 19 e i 45 anni può diventare donatore, purché non sia affetto da malattie del sangue o altre forme infettive.

Cosa succede se viene trovato un donatore compatibile?
Il prelievo del midollo avviene in anestesia generale.
Durante l’anestesia viene prelevato dal bacino la quantità di midollo necessaria.
Dopo il prelievo il donatore resta in ospedale 12-24 ore. A casa dovrà rimanere a riposo per 4-5 giorni.
Al termine del prelievo di midollo osseo, viene trasfusa un’unità di sangue precedentemente prelevata al donatore stesso.
Il midollo osseo prelevato si riproduce rapidamente ed entro una settimana è completamente ricostituito

Due spezie per la mente

cannella
Per insaporire i cibi si utilizzano, da sempre, spezie ed erbe che entrano nei piatti in quantità normalmente modeste, ma che ugualmente possono fare bene alla salute, perché contengono sostanze ad azione simile a quella dei farmaci. A questo proposito sono state effettuate molte ricerche in tutto il mondo, eccone alcune

Curry e cervello
Secondo la ricerca condotta da ricercatori dell’ Università di Catania, in collaborazione con il New York Medical College, mangiare, qualche volta al mese, piatti insaporiti col curry, può aiutare il cervello a restare giovane. Il curry è una miscela, anche molto piccante, preparata con spezie di vario tipo come curcuma, coriandolo, pepe, cumino nero. Secondo i ricercatori, la sostanza che difende il nostro cervello è nella curcuma, detta anche zafferano delle Indie o zenzero giallo, una pianta dalla cui radice amara si estrae la curcumina, utilizzata per dare al curry il colore giallo, che da sola non trova impiego in cucina perché è amara. Ed è proprio la curcumina la sostanza capace di attivare un enzima chiave, che può proteggere le cellule cerebrali dall’ ossidazione, causa di invecchiamento e responsabile di disordini neurovegetativi come l’ Alzheimer. Secondo gli studiosi, l’ effetto antiossidante di questa spezia, potrebbe essere utile anche in alcuni casi di cancro, disturbi autoimmuni e sclerosi multipla. Il curry può poi facilitare la digestione, perché stimola la produzione di saliva in bocca e quella di succhi gastrici nello stomaco, ma non bisogna abusarne perché può avere azione tossica sul sistema nervoso centrale. In ogni caso, il curry non è adatto per chi soffre di disturbi digestivi, come la gastrite.

Cannella e rapidità
Masticare gomme alla cannella, può aiutare a ricordare meglio. Lo suggerisce uno studio di scienziati della Wheeling Jesuit University negli Stati Uniti, presentato dalla Association for Chemoreception Sciences. La cannella, inspirata durante la masticazione attraverso le vie retronasali da un gruppo di volontari, avrebbe migliorato non solo la loro memoria ma anche la capacità di attenzione e la rapidità di risposta visiva. La cannella viene preparata con la corteccia di un albero ad alto fusto, coltivato nelle foreste dell’ isola di Ceylon, Giava, Seyschelles. La varietà cinese viene considerata meno buona.

Funghi

funghi
Il periodo estivo ed autunnale è il periodo migliore per la raccolta di funghi. Le numerose precipitazioni costituiscono uno dei fattori principali indispensabili per lo sviluppo dei funghi. Acqua e calore sono gli elementi che ne inducono la formazione sul terreno.
Compito del fungo è la diffusione delle spore che provvedono a diffondere la specie.
Diverse specie di funghi sono commestibili ma molte altre o non hanno valore alimentare, o possono provocare addirittura fenomeni di intossicazione, anche con esito mortale.
E’necessario che ogni specie di fungo venga identificata con certezza prima di essere consumata. Molti funghi mangerecci hanno specie molto simili tossiche, solo una attenta individuazione della specie può evitare casi di avvelenamento.
Prima di essere consumato è importante identificare la specie del fungo.
La conoscenza oggi è notevolmente aumentata, sia grazie ai molti gruppi micologici che spesso organizzano lezioni e mostre, sia grazie all’esistenza degli ispettorati micologici presso le aziende sanitarie che per legge, oltre a controllare tutti i funghi destinati alla commercializzazione, effettuano gratuitamente il controllo dei funghi ai cittadini raccoglitori. Conoscere le singole specie fungine però non basta.
Per cercare di rendere la raccolta compatibile con l’ecosistema, esiste oggi una legge quadro a livello nazionale che localmente ha trovato riscontro, ormai in quasi tutte le regioni, in specifiche normative regionali.

LE REGOLE PER LA RACCOLTA

Primo fondamentale errore da non compiere, quando si va a cercare funghi, è quello di inoltrarsi in zone sconosciute, ignorando i principi base di precauzione, che sono poi gli stessi che vanno tenuti in considerazione quando si effettua un’escursione in montagna o per i boschi.
Dunque, conoscere il territorio, avvisare del proprio percorso amici o parenti, tenere in considerazione le condizioni metereologiche, fare attenzione a non farsi sorprendere dal buio, non perdere di vista punti di riferimento per poter identificare la propria posizione.

E’ necessario possedere un permesso apposito per raccogliere funghi. Si tratta del cosiddetto tesserino, rilasciato solitamente presso le Comunità montane, i Consorzi di gestione dei parchi, le Province nonchè, a seconda dei casi, presso i Comuni e gli esercizi pubblici convenzionati. Ogni Regione o Provincia autonoma possiede il proprio regolamento. E’ bene conoscerlo bene, prima di affrontare la ricerca.

Ogni Regione decide un tetto massimo per la raccolta (solitamente 2 o 3 Kg). Esistono poi restrizioni particolari per qualità particolari di funghi.
Solitamente il limite di peso per la raccolta varia per i residenti.
La raccolta non è consentita sempre, ma in giorni ed orari ben specifici.

E’ solitamente vietato:

– usare nella raccolta rastrelli, uncini ed altri attrezzi simili per smuovere o grattare il sottobosco, che possano danneggiare l’humus del terreno, compromettendo irrimediabilmente lo strato di micelio che produce i funghi.

– usare per il trasporto buste di plastica. I funghi raccolti vanno puliti sommariamente sul posto e conservati in appositi contenitori rigidi aerati (per esempio i famosi cestelli, in modo da evitare fenomeni di compressione e fermentazione e da consentire la disseminazione ulteriore delle spore. Va quindi assolutamente evitato l’utilizzo di sportine di plastica, carta e simili).

– tagliare i funghi alla base, rendendoli irriconoscibili.

– raccogliere gli esemplari troppo giovani (non hanno ancora prodotto spore); mentre si consiglia di evitare quelli troppo vecchi o ammuffiti.

– danneggiare intenzionalmente funghi di qualsiasi specie, che non vanno mai staccati per essere abbandonati sul terreno. Anche i funghi velenosi o quelli che non si conoscono svolgono indispensabili funzioni per il mantenimento dell’equilibrio biologico del bosco.

Infine, evitare sempre di consumare dei funghi che non siano stati identificati con certezza: nel dubbio meglio non rischiare.

ALCUNI CONSIGLI SU COME EVITARE L’INTOSSICAZIONE A CAUSA DI FUNGHI VELENOSI

La prevenzione è senza dubbio l’arma più valida per non cadere nei potenziali rischi che possono nascondersi nei funghi tossici o velenosi.
Ecco 5 regole molto importanti.
1. Se non si è esperti, vale sempre la pena di far controllare i vegetali che si sono raccolti presso i Servizi di riconoscimento micrologico, che sono attivi presso il servizio di Igiene pubblica di quasi tutte le Asl italiane. Il servizio è gratuito per tutti i cittadini. Grazie a questo semplice espediente, non si può correre alcun rischio di mettere un veleno dentro il piatto.
2. I funghi sospetti non devono essere riposti nello stesso cesto in cui si trovano quelli sicuramente innocui.
3. Non bisogna mai raccogliere i funghi quando sono ancora piccoli: è meno facile capire di che tipo si tratta.
4. I funghi vanno cucinati per 30-45 minuti: in alcuni casi, la cottura elimina parte delle tossine e sicuramente rende il fungo più digeribile.
5. E’ sempre bene mangiare i funghi entro 48 ore dalla loro raccolta. Inoltre, vanno conservati in frigorifero.

Le cose da fare in caso di intossicazione da funghi:

1. Alla prima comparsa di sintomi sospetti in uno dei commensali, è necessario recarsi subito in ospedale, senza aspettare che i disturbi si manifestino anche in tutti gli altri componenti della famiglia che hanno consumato lo stesso tipo di funghi.
2. E’ utile portare con sè anche un piccolo campione del vegetale incriminato (cotto, crudo o anche le rimanenze eliminate durante la sua pulitura) per dar modo agli specialisti di riconoscere la specie in questione e di valutarne al meglio i potenziali effetti.
3. E’ bene informare i medici sulla provenienza dei funghi, se cioè sono stati comprati, raccolti da dilettanti o da persone che si dichiaravano esperte.
4. E’, bene fornire ai medici del Pronto soccorso informazioni riguardanti il tempo intercorso tra l’ingestione dei funghi e la comparsa dei sintomi.

Le cose da non fare in caso di intossicazione da funghi:
1. Non ricorrere a farmaci in grado di bloccare la diarrea, visto che questo sintomo è un meccanismo di difesa attraverso cui l’organismo cerca di eliminare le tossine.
2. Non ingurgitare strani intrugli spacciati dalla tradizione come antidoti contro l’avvelenamento da funghi. Non bere mai latte, che, contrariamente a quanto si dice, non annulla assolutamente gli effetti dell’intossicazione.

Training Autogeno: il modo migliore per rilassarsi.

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Il Training Autogeno, metodo sperimentato dal neurologo berlinese J.H. Schultz nel 1932, è una tecnica di rilassamento che permette di rilasciare le tensioni quotidiane e recuperare energie positive.
E’ un metodo di autodistensione che consente di modificare tensioni sia psichiche che corporee e permette, attraverso il completo controllo del proprio corpo, di raggiungere un elevato livello di rilassamento psichico e di realizzare spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività respiratoria, cardiaca e degli organi interni.
La pratica consiste in una serie di posizioni del corpo e di frasi di autoconvincimento pronunciate come i mantra dello yoga (pur non essendo una disciplina orientale il T.A. si ispira a filosofie come lo yoga).
Il T.A. favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse in tutti gli ambiti dell’attività umana ( lavoro, studio, sport….) e può essere praticato in completa autonomia a casa o in qualsiasi altro ambiente dove ci sia tranquillità e ci si possa mettere in una posizione comoda.

Definizione
Schultz stesso definì il Training Autogeno un metodo di autodistensione che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche. Training significa allenamento, cioè apprendimento graduale di una serie di esercizi particolarmente studiati per il realizzarsi dell’equilibrio neurovegetativo, continuamente insidiato da stati di tensione, di ansia e di stress. Il costante allenamento e la pratica di questa tecnica porta a raggiungere risultati apprezzabili attraverso modificazioni sempre più valide e incisive dell’equilibrio neurovegetativo. La parola Autogeno, invece, sta a significare come tale abilità e la messa in atto della tecnica vengano generate sempre maggiormente dal soggetto stesso, in modo autonomo, adattando il metodo alle proprie esigenze. Autogeno significa “che si genera da sé”; ciò differenzia questo metodo dalle tecniche ipnotiche ed eteroipnotiche le cui realizzazioni somatopsichiche sono attivamente indotte dal soggetto o dal terapeuta.
Il T.A. è quindi un “allenamento che si genera da sé” pur con la guida di un operatore esperto. L’obiettivo di Schultz era, infatti, quello di rendere il paziente meno vincolato dal terapeuta e divenire lui stesso autore del proprio cambiamento e del proprio benessere.

Tecnica

Il T.A, è costituito da una serie di esercizi standard (che si riferiscono a sei distretti fisiologici: muscolare, vascolare, cardiaco, respiratorio, addominale e cefalico).

Gli esercizi si dividono in due fondamentali:
– esercizio della pesantezza: produce uno stato di rilassamento muscolare, ovvero di rilassamento dei muscoli striati e lisci;
– esercizio del calore: produce una vasodilatazione periferica con conseguente aumento del flusso sanguigno.
E alcuni complementari:
– esercizio del cuore: produce un miglioramento della funzione cardiovascolare;
– esercizio del respiro: produce un miglioramento della funzione respiratoria;
– esercizio del plesso solare: produce un aumento del flusso sanguigno in tutti gli organi interni;
– esercizio della fronte fresca: può favorire l’eliminazione di eventuali mal di testa, perché produce un leggera vasocostrizione nella regione encefalica.

Dal punto di vista fisico si manifesterà: un affievolimento della tensione muscolare, un rilassamento dei vasi sanguigni e miglioramento della circolazione, un calore generalizzato dovuto alla migliore diffusione del sangue, una migliore efficienza respiratoria, il rilassamento dell’apparato digerente.

A chi è rivolto
Il T.A. è una tecnica di rilassamento che si rivolge a tutti coloro che sentono il bisogno di alleviare il proprio stato di stress e di tensioni emotive, persone che per motivi diversi sostengono dei ritmi di vita molto accelerati e stressanti.
È molto indicato per atleti e sportivi in genere: favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni.
Il T.A. è utile inoltre nella cura di ansie,insonnia, emicranie, asma, ipertensione, attacchi di panico.
E’ una tecnica alla portata di tutti. Dopo aver appreso gli esercizi il soggetto potrà praticarli da sé. Con il T.A. si impara ad avere più sicurezza e fiducia, ad essere più calmi e distesi e a scaricare meno le tensioni sui vari organi, ottenendo efficaci interventi sui disturbi psicosomatici
Nello svolgersi di poche settimane, l’allenamento agli esercizi, praticato saltuariamente con il controllo del terapeuta e quotidianamente da soli, consente di poter offrire ai propri muscoli, ai propri organi e alla propria mente, uno stato di distensione fisica, di passività psichica, di calma e di benessere.

4 miti sul raffreddore

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Il raffreddore è una malattia invernale!
Mito: la maggior parte dei raffreddori si prendono d’inverno.
Realtà: la maggior parte dei raffreddori si prendono in primavera/estate! Questo è dovuto al fatto che il virus diventa molto più attivo in quelle stagioni mentre in inverno sembra andare quasi in
letargo.

Non bere il latte!
Molta gente pensa che bere latte quando si ha il raffreddore sia una cosa sbagliata perchè potrebbe causare un aumento della produzione di muco. In realtà il latte non causa un aumento della produzione di muco quindi potete berne quanto volete senza preoccuparvi del vostro raffreddore.

Non baciarlo!
Ci è un mito popolare che baciare una persona col raffreddore vi farà ammalare di raffreddore. La realtà è che la quantità di virus presente sulle labbra e nella bocca sono minuscole e serve una dose molto più grande per infettarsi. È del mucoso nasale che vi dovete preoccupare.

Il freddo vi fa venire il raffreddore.
Scommetto che alla maggior parte di voi è stato detto di non uscire con capelli bagnati o umidi, o di coprirvi bene prima di uscire per evitare di prendervi un bel raffreddore. In realtà la temperatura corporea e la temperatura ambientale non giocano nessun ruolo nell’ammalarsi di raffreddore. Ti prendi il raffreddore se entri in contatto con il virus del raffreddore! Non importa se siete al caldo, al freddo o se siete bagnati o asciutti.

Grasso al punto giusto

obesità-infantile
Si trova negli ingranaggi delle auto, sulle ali degli uccelli, e naturalmente in pentola. Ma quello che ci dà più fastidio se ne sta lì, intorno alla vita o ai fianchi, immobile quanto basta per costituire l’incubo di chi aspira a indossare il costume da bagno senza provocare ilarità. Tutta apparenza: il “rotolino” non è affatto inattivo! Anzi: il grasso si comporta come un organo a sé stante, che scambia continuamente informazioni con il cervello, cresce e si difende dagli assalitori (le diete).

Se si nasconde è buono<
E non c’è chi non ne abbia almeno un po’. Basta prendere la pelle tra due dita per accorgersi che uno strato compatto di ciccia (più o meno sottile) si trova proprio sotto la cute. Si calcola che un ragazzo venticinquenne in perfetta forma che pesa 70 chili si porti addosso (nascosti) ben 10-11 chili di adipe: il 15 per cento del proprio corpo. E la percentuale sale nelle donne fino a raggiungere il 20-25 per cento del peso corporeo. Niente paura, però: quella che non si vede è ciccia “buona”, utile all’organismo. Serve a proteggere gli organi interni dagli urti, a evitare eccessive dispersioni di calore e naturalmente ad accumulare scorte d’energia (basterebbe per 20-30 giorni di digiuno). Il guaio, però, è che l’adipe tende a “prendere troppo sul serio” il proprio compito e a crescere fino a diventare evidente: al primo rotolino, segue presto un secondo e se non si corre ai ripari si finisce per ritrovarsi con una o più decine di chili di troppo. Perché? Non siamo geneticamente programmati per l’abbondanza: l’evoluzione non aveva certo previsto i fast food. Al contrario: il metabolismo umano è regolato per sopravvivere alle carestie. Ecco perché il corpo cerca disperatamente di arricchirsi di energia in attesa di periodi di magra che oggi, nel mondo occidentale, non arriveranno mai.

Recupero con gli interessi
Ognuno di noi possiede circa 600 miliardi di adipociti, cellule-dispensa dove l’organismo accumula l’energia che non è costretto a consumare subito. Si trovano sottopelle e tra i visceri, nell’addome: possono aumentare enormemente il proprio volume a mano a mano che si riempiono di grassi. Il tessuto adiposo formato da queste cellule ha la consistenza di una spugna umida, attraversata da nervi e da una fitta rete di vasi sanguigni. Visto al microscopio sembra un immenso accumulo di bolle gialle (gli adipociti).Teoricamente si può ingrassare a dismisura perché le cellule adipose quando non riescono più a ingrossarsi cominciano a riprodursi, aumentando di numero (accade quando la massa grassa supera i 30 chili di peso). L’uomo più grasso del mondo (l’americano John Minnoch, morto nel 1983) pesava più di 635 chili, era cioè arrivato al limite oltre il quale muoversi è quasi impossibile e perfino respirare diventa difficile a causa della massa che ci si porta addosso. Come è possibile ingrassare a tal punto? La scienza non ha ancora risposto a questa domanda: per le cause dell’obesità (cioè della “grassezza” molto accentuata, quando il peso reale supera alme-no del 20% il peso ideale) ci sono solo ipotesi. È stato però scoperto di recente che chi nasce piccolo (meno di 2,9 chili) tende a diventare grasso in età adulta. Quasi che la “rincorsa” al recupero del peso nei primi anni di vita influisca sul metabolismo corporeo per sempre.

Tutta colpa degli antenati
Ma c’è di più. E riguarda tutti: è probabile che nel nostro Dna esista un gruppo di geni che fa in modo che l’organismo sia sempre affamato. Pensiamo alla vita che facevano i nostri antenati nella savana, un milione di anni fa: procurarsi il cibo con la caccia o con la raccolta di radici e frutta era l’attività che impegnava tutta la loro giornata. Chi era più “bravo” sopravviveva e tramandava i suoi geni ai figli: essere sempre pronti a “incamerare” cibo era quindi una caratteristica vincente. Per verificare quest’ipotesi gli scienziati stanno studiando popolazioni che hanno una particolare tendenza alla pinguedine. È il caso dei finlandesi: persone con un patrimonio genetico che da secoli non si mescola con quello di altri popoli e che stanno diventando sempre più grasse. Fino a qualche decennio fa in Finlandia si mangiava solo pesce e pochi cereali. È probabile che questo popolo si fosse abituato a un regime alimentare molto povero e che nel loro Dna agiscano geni che dicono all’organismo “risparmia”. Ora che finalmente hanno a disposizione cibi da tutto il mondo e in grande quantità, ingrassano fino all’obesità. Un fenomeno diffusissimo, che preoccupa i medici locali. I geni riescono probabilmente a disattivare il sistema di regolazione della quantità di grasso nell’organismo. Recentemente, infatti, si è scoperto che il tessuto adiposo è in continuo contatto col cervello: lo informa della quantità di energia stipata negli adipociti. Non solo, in caso di scarsità di cibo (per esempio per una dieta) la ciccia si difende e attiva meccanismi che inducono l’organismo a “risparmiare” in modo che almeno un po’ d’adipe resti al suo posto.

Fame atavica
La ciccia, infatti, emette un ormone, la leptina, che dice ai centri nervosi “sei già cicciottello, non aver più fame”. Quando invece la leptina scarseggia (il corpo è magro) l’organismo è invogliato a ingozzarsi. Se questo meccanismo funzionasse, non dovrebbero esistere gli obesi. Forse alcuni geni, particolarmente attivi nelle popolazioni storicamente più “affamate”, riescono a far ignorare al corpo la presenza di leptina. Si sa, per esempio, che gli obesi, pur avendo livelli altissimi di leptina in circolo nel sangue, sono insensibili a questo ormone (hanno cioè fame tanto quanto una persona magra).

Quando fa bene
Ancora oggi, perciò, quando non sappiamo resistere alla tentazione di mettere nel carrello della spesa biscotti e cioccolato siamo guidati dai nostri geni, quelli che nel corso dell’evoluzione ci hanno insegnato a riconoscere e a preferire i cibi ad alto contenuto energetico. E l’organismo mette da parte tutto sotto forma di ciccia: che ci ingozziamo di carne (proteine), pasta (amidi) o dolci (zuccheri e lipidi) per il nostro metabolismo non fa differenza. Ciò che non serve subito viene archiviato solo sotto forma di grassi (trigliceridi) che finiscono nell’adipe a creare “rotolini”. Nei trigliceridi c’è molta più energia che in altre molecole organiche: un solo grammo di grasso contiene 9 kilocalorie contro le 4 degli zuccheri. Ecco perché il corpo preferisce stoccare le sue riserve sotto forma di ciccia e non di muscolo (formato soprattutto da proteine). Non ha senso escludere i grassi dalla propria alimentazione sperando di non ingrassare: qualsiasi altro cibo, se consumato in quantità eccessiva, si trasforma comunque in ciccia. E c’è un motivo più importante: i grassi servono alle nostre cellule per costruire la propria membrana esterna. Ce ne sono di molti tipi, ma l’organismo non è in grado di fabbricarli tutti da sé: due di essi (gli acidi linoleico e linolenico) devono proprio essere “mangiati”(nel pesce e in alcuni oli vegetali). Il grasso fa bene ed è utile soprattutto ai bambini che devono costruire miriadi di cellule nuove. Escludere i lipidi dalla dieta, oltre che dannoso, sarebbe impossibile: si calcola che il 70 per cento dei grassi che mangiamo siano “nascosti” nei cibi (ce ne sono molti anche nella bistecca più magra o nel latte). E poi, se mancassero, i pasti sarebbero insipidi: i grassi trattengono gli aromi prodotti durante la cottura o contenuti nelle spezie. Insomma, senza ciccia addio sapore.

Bugie allo specchio. Così la nostra mente “crea” l’immagine corporea.

Ci vediamo grassi? O belli e muscolosi, anche se con un po’ di pancia? Meglio non credere (del tutto) ai propri occhi. Perché il cervello corregge lo specchio.La matrigna di Biancaneve aveva un rapporto conflittuale con il suo specchio,che si ostinava a non considerarla la più bella del reame… E non è la sola. Molte donne non sipiacciono e tendono a vedersi sovrappeso: più della metà vede nel proprio riflesso un corpo più grasso del 20%. Gli uomini sono più generosi con se stessi: molti si vedono normali pur essendo un po’ sovrappeso, muscolosi anche se magari hanno un filo di pancetta. Ma non bisogna fidarsi dei propri occhi.
Quella che noi vediamo allo specchio non è un’immagine “obiettiva”. La percezione del corpo è sempre filtrata dalla mente. È influenzata dall’umore, dall’importanza data al giudizio degli altri,dai criteri estetici della società. Ecco allora che maschi e femmine si guardano in modo diverso. È di moda una magrezza innaturale e le donne “normali”, che non corrispondono a questo ideale, si vedono così troppo grasse, gli uomini, invece, sono meno abituati a considerare determinante il proprio aspetto fisico. Allo specchio si guardano meno e tendono a essere più “indulgenti”: insomma, si vedono più in forma».

Però, non sono male…
Ma allo specchio si attiva, in genere, un meccanismo positivo: ci vediamo “belli”. L’immagine che guardiamo è frutto di una inconsapevole “correzione estetica”. Primo, tendiamo a metterci in posa: a osservarci dal profilo migliore, a sorridere, a trattenere la pancia. E poi non notiamo eventuali difetti: un naso troppo lungo, le occhiaie, qualche capello bianco… È una strategia di sopravvivenza: per sentirci bene dobbiamo vederci belli, piacevoli. L’immagine ottimistica che creiamo osservandoci non corrisponde a come appariamo quando abbiamo una posa spontanea. È per questo che a volte non ci riconosciamo se ci vediamo “al naturale”. Come nel riflesso in una vetrina, o nelle foto non posate, in cui infatti spesso ci sembra di essere venuti male.Vari fattori possono però influire. I modelli culturali o per esempio lo stato mentale. Quando si è di cattivo umore, la percezione di sé è più critica. Si vedono difetti che non si noterebbero. E anche l’età conta. Gli adolescenti sono preoccupatiper il loro aspetto e finiscono pervedersi brutti. Sentono che il loro corpo cambia e vorrebbero essere il più possibile attraenti. Quest’ansia li rende ipercritici sul loro aspetto, sopravvalutando i difetti.

Il mio naso è orribile
La percezione di sé può essere talmente alterata da originare autentici disturbi. Come la “dismorfofobia”: l’ossessione di avere un difetto fisico, esagerato o immaginario. C’è chi, per esempio, si vede un naso orrendo e si sottopone a continue operazioni per cambiarlo. Un disturbo dell’immagine corporea può essere presente nell’anoressia: alcune anoressiche si vedono grasse, anche se sono scheletriche. Accade soprattutto alle ragazze. Ma esiste un disturbo equivalente che riguarda più spesso i maschi, la“dismorfofobia muscolare”: chi ne soffre si vede gracile, anche se ha un fisico plasmato dal body building. E cerca di mettere su ancora più muscoli.